lunedì 27 maggio 2013

Luoghi: India. Sanchi.


"Cento anni dopo la mia morte ci sarà a Pataliputra un imperatore di nome Asoka. Egli dominerà uno dei quattro continenti e adornerà il Jambudvipa con le mie reliquie" (Ashokavadana).





Sito buddista fra i più famosi dell'India; gli scavi hanno dimostrato che la vita di quest'area sacra, iniziata verso il III secolo a.C. (epoca maurya) con la costruzione dello Stupa I o Grande Stupa, prosegue senza interruzioni fino al XII secolo d.C.
Le strutture più importanti sono i tre stupa, dei quali il più antico (stupa I) è stato oggetto di numerose aggiunte, integrazioni e rielaborazioni in epoche diverse.
In particolare, il nucleo originario, di epoca maurya (III-II secolo a.C.), è stato inglobato nella struttura attuale sotto gli Shunga (II-I secolo a.C.), mentre i quattro torana (portali) decorati, una delle testimonianze più importanti e ricche della scultura buddista, sono datati al I secolo d.C.





Lo stupa III è di poco più recente del Grande Stupa, è di dimensioni minori e ha un solo torana, ma nel complesso riprende usai del tutto le caratteristiche del precedente.
Al suo interno sono conservate le relique di due dei maggiori discepoli del Buddha.
Lo Stupa II fu eretto probabilmente fra la metà del II e l'inizio del I secolo a.C.; anch'esso contiene delle reliquie (assenti invece dello stupaI), ma è privo di portali e ha un aspetto molto più sobrio rispetto agli altri due.
Sanchi era senza dubbio sede di una comunità buddista estesa e fiorente; la grande quantità di sculture commissionate dai devoti sta a testimoniare quanto il santuario godesse di un prestigio diffuso nel Subcontinente.





Veduta dello Stupa II, Sanchi (Madhya Pradesh)


Nel buddismo la relazione fra monaci e devoti laici era molto stretta, i secondi infatti, tramite le offerte, davano ai primi la possibilità di dedicarsi interamente alle attività spirituali, senza doversi preoccupare di quelle mondane.
Oltre a cibo e vestiti, i laici fornivano ai monaci dei luoghi ove riparare durante la stagione delle piogge, che rendevano molto più difficile la loro vita da itineranti.
Tutte queste donazioni facevano si che, in contraccambio, i laici potessero acquisire meriti per le future rinascite pur senza entrare a far parte della comunità manastica.






Con il tempo e con l'aumentare della ricchezza dei committenti, i doni fatti ai monaci divennero monasteri, edifici sacri e decorazioni per gli stessi, dando così origine all'arte e all'architettura buddiste.





Particolare del retro del torama nord dello Stupa I. Sanchi (Madhya Pradesh)

I torana del Grande Stupa di Sanchi sono fra i monumenti più importanti del buddismo del I secolo d.C. grazie alle loro decorazioni che forniscono una summa iconografica della prima arte buddhista.
Le architravi presentano dei rilievi dove sono raffigurati episodi della vita del Buddha o delle sue vita precedenti (jataka), assieme a decorazioni floreali, geometriche e di soggetti animali.
Fra un'architrave e l'altra sono presenti dei pilastrini decorati; in alcuni casi (come nel torana a nord) sono alternati a figure a tutto tondo che riempiono gli spazi fra l'uno e l'altro, in forma di uomini a cavallo o su elefanti.





Il torana, riproduce in pietra di una struttura lignea, è il luogo dove si concentra l'espressione iconografica di Sanchi, diversamente da unto accade in altri siti ( per esempio Bharhut) in cui è la balaustra (vedika) a essere ricca di decorazioni.







Ecco come muovere le cose con la forza del pensiero.








Se credete ancora che solo gli eroi dei film di fantascienza riescono a spostare gli oggetti con la forza del pensiero, è il momento di dissipare questo equivoco. Di recente nella città giapponese di Kyoto gli scienziati di ATR hanno inventato un dispositivo di nuova generazione, che consente di gestire gli oggetti con la mente, ovunque essi si trovino.
Questo dispositivo si chiama Network Brain Machine ed è costituito da una sorta di cappello, da cui partono dei cavi sensori che leggono ogni minima oscillazione del sistema sanguigno nella calotta celebrale e interpretano gli impulsi del cervello.

Yukiyasu Kamitani dei Laboratori ATR Computational Neuroscience è sicuro che questa invenzione contribuirà a rendere la vita più facile a molti, in primo luogo anziani e le persone a mobilità ridotta: "Ci aspettiamo che Network Brain Machine Interface diventi il capostipite di una vera e propria rivoluzione dei dispositivi orientati a migliorare la qualità della vita delle persone che per vari motivi non possono muoversi. Speriamo che il nostro dispositivo possa essere utilizzato in varie strutture di riabilitazione così come a casa".
Gli esperimenti hanno dimostrato che per l’uomo è sufficiente immaginare i movimenti che produce con la mano destra o sinistra per mettere l'idea in azione. I partecipanti al collaudo del dispositivo hanno provato l’ebbrezza di accendere o spegnere la tv e la luce in camera con la sola forze del pensiero, oppure aprire e chiudere le porte e le finestre interattive del loro pc, o far andare una sedia a rotelle nella giusta direzione.
Il meccanismo di Network Brain Machine è semplice e complesso nello stesso tempo: le informazioni sugli impulsi provenienti dal cervello, vengono lette dal dispositivo inserito nel casco e poi reinviate nel database, dove sono analizzate e trasformate nell’azione conclusiva su un determinato oggetto (ad esempio la tv), a cui è applicato uno speciale lettore.
Il problema è che per ogni singolo paziente bisogna regolare singolarmente il sistema per ridurre la percentuale di istruzioni eventualmente fraintese. 
Il nostro lavoro ora si concentra proprio su questo -nota Yukiyasu Kamitani. - Spero che ben presto saremo in grado di risolvere tutti i difetti esistenti e d massimizzare l’efficienza del sistema.
Allo stadio di sviluppo attuale, Network Brain Machine impiega da 6 a 12 secondi per trasformare le idee in azione, ma gli sviluppatori si aspettano di portare la rapidità ad un secondo in tre anni. Per ora la precisione nell`esecuzione dell'ordine è pari al 70-80%. 
La ATR punta ad avviare la produzione commerciale del dispositivo entro il 2020.






Scoperta a Zurigo la foresta fossile più antica del mondo: 14 mila anni.








E' davvero notevole la scoperta effettuata circa un mese fa da alcuni operai impegnati nella costruzione di un complesso di uffici nella città di Zurigo: a 5 - 6 metri di profondità hanno rinvenuto numerosi ceppi d'albero, comprensivi di ridici, la maggior parte dei quali si trovava ancora in posizione verticale, con le radici verso il basso, quasi a poter riprendere vigore in qualsiasi momento.
Non appena ricevuta la notizia del ritrovamento, Daniel Nievergelt, ricercatore presso l'Istituto Federale per la ricerca sulle foreste, la neve e il paesaggio (WSL), si è immediatamente precipitato sul luogo per osservare da vicino i resti della foresta fossile.
Non appena è giunto sul posto. Nievergelt ha immediatamente capito che si trovava difronte ad una scoperta importantissima, con dei reperti fossili che potevano risalire alla fine dell'ultima era glaciale.
Così ha subito raccolto tre campioni di legno che ha spedito al Politecnico Federale di Zurigo per la datazione al radiocarbonio, ottenendo una valutazione decisamente straordinaria.

I risultati delle analisi sono stati stupefacenti: il legno ha oltre 14 mila anni. 
Questi antichi ceppi fossili rappresentano la prova documentale della prima flora mediterranea cresciuta in Svizzera dopo la fine dell'ultimo periodo glaciale. Si tratta di reperti unici al mondo.
I ricercatori hanno contato 150 ceppi d'albero fossilizzati, tutti di pino e forse una betulla. 
La maggior parte dei tronchi di pino ha un diametro superiore ai 30 centimetri. I fossili si sono conservati perfettamente grazie alla protezione offerta da uno strato di argilla che non ha lasciato passare l'aria, permettendo una conservazione perfetta durata quasi 14 mila anni.
Secondo la valutazione dei ricercatori elvetici, la foresta trovata a Zurigo potrebbe essere la più antica del mondo. I ceppi sono stati abbandonati dalle antiche tribù preistoriche dopo essersi procurate il legno per le armi e il fuoco. Gli alberi erano altri circa 30 metri.
Gli esperti pensano che si tratti di una scoperta molto importante: “I ceppi fossili possono fornite numerosi dati preziosi da utilizzare in progetti di ricerca interdisciplinari”, spiega Nievergelt.
La scoperta risulta eccezionale per almeno due motivi: il primo è per l'età del legno, tra i più antichi mai trovati; la seconda riguarda la grande quantità di materiale ritrovato. I ricercatori sperano di ottenere molte informazioni circa l'origine di questa antica foresta post-glaciale.Come spiega tagesanzeiger.ch, i paleoclimatologi potranno studiare i cambiamenti climatici avvenuti in un'era molto particolare del nostro pianeta e studiare eventi come gli incendi boschivi, i terremoti e le eruzioni vulcaniche.
Inoltre, conoscendo l'origine e lo sviluppo della grande foresta europea, all'indomani del periodo glaciale, grazie alla comparazione tra la cronologia offerta dagli anelli dei tronchi fossili e i diversi dati già in possesso dei paleontologi, permetterà una datazione più precisa di altri numerosi manufatti.






venerdì 24 maggio 2013

Egitto. ricostruita la storia in 3D dell'enigmatico Santuario di Karnak.






Il complesso monumentale di Karnak è un antico tempio egizio situato sulla riva orientale del fiume Nilo. nei pressi di Tebe (l'attuale Luxor).
Il sito archeologico si estende su un'area che supera i 100 ettari, un'estensione che supera la superficie di molte città dell'antichità.
Il settore centrale del complesso, che poi è la parte che occupa la maggior quantità di spazio, è dedicato ad Amon-Ra, una divinità maschile associata alla città di Tebe.
La zona immediatamente circostante il santuario principale nell'antichità era conosciuta come “Ipet-Sun”, che significa “il più sacro dei luoghi”.
A sud della zona centrale, c'è un'area più piccola dedicata alla consorte di Amon-Ra, la dea Mut. A nord, c'è un altro recinto dedicato a Montu, il dio della guerra con la testa di falco. Infine, ad est del santuario, vi è una zona (in gran parte distrutta intenzionalmente nell'antichità) dedicata a Aton, divinità solare della mitologia egizia.





Le origini del santuario.
La costruzione del complesso monumentale di Karnak è iniziata circa 4 mila anni fa ed è continuata fino al momento in cui i Romani conquistarono l'Egitto, circa 2 mila anni fa. 
Ogni sovrano egizio che ha governato nell'arco di questi due millenni, ha lasciato la sua “firma” contribuendo alla realizzazione architettonica dell'opera.
L' Università della California (UCLA) ha realizzato un progetto digitale on-line, il Digital Kernak, grazie al quale è stato possibile identificare e ricostruire gli interventi dei vari faraoni. Il modello realizzato dai ricercatori mostra una sconcertante serie di templi, cappelle e corridoi che sono stati via via costruiti, abbattuti e modificati nel corso di 2 mila anni.
Karnak doveva fare molta impressione sui visitatori dell'antichità. “I piloni e le mura di cinta erano dipinti di bianco e i rilievi erano decorati con colori brillanti e pietre preziose, aumentando notevolmente la sua magnificenza”, scrive l'egittologo Heather Blyth nel suo libro Karnak: evoluzione di un tempio. “Dietro le alte mura di cinta, era possibile vedere le sommità dorate degli obelischi stagliarsi nell'azzurro del cielo”.
Blyth osserva che la prima prova certa della costruzione di Karnak risale al regno di Wah-Ankh Intef II, un sovrano egiziano che ha vissuto più di 4 mila anni fa. Una colonna di arenaria di forma ottagonale arreca inciso il nome di Amon-Ra, facendo pensare che il faraone abbia voluto dedicare il suo tempio a quel Dio.
La Ricostruzione digitale della UCLA fa cominciare il modello base dal regno del faraone Sesostri I (1971 - 1926 a.C.) e mostra un tempio di pietra calcarea, con una corte nel mezzo dedicata a Amon-Ra. Esso contiene 12 colonne poggiate su delle basi ornate con la figura del re nella posa di Osiride , il dio degli Inferi.
Questa ricostruzione rivela che Karnak sarebbe rimasta una zona alquanto modesta, almeno fino all'avvento del Nuovo Regno, in un periodo tra il 1550 e il 1070 a.C., quando il tempio fu decorato e ampliato con numerosi edifici.




I magnifici piloni di Karnak.
A partire dal Nuovo Regno, e continuando nei secoli successivi, i governanti egiziani, gradualmente hanno creato una serie di 10 “piloni” attorno al complesso monumentale. Essi funzionano come “vie di accesso”. Solo successivamente i piloni furono collegati tra loro attraverso una rete di pareti.
La serie di piloni comincia nei pressi del santuario principale e si snoda in due direzioni. Una serie di sei piloni si affaccia ad ovest verso il fiume Nilo e termina in un viale d'ingresso fiancheggiato da piccole sfingi.
Un altro gruppo di quattro piloni si affaccia a sud, lungo un percorso processionale utilizzato per le cerimonie.




La Sala di Uadjet.
Secondo il progetto della UCLA, la Sala di Uadjet (il cui nome deriva dalle immagini con le quali sono state decorate le colonne) fu costruita da Thutmose I (1504 - 1492 a.C.), nei pressi del santuario principale, tra il quarto e il quinto pilone. La sala misura 246 metri per 75 metri ed era usata per l'incoronazione del re i giubilei periodici (Heb-Sed).
L' Heb-Sed veniva in genere celebrato dopo 30 anni dalla salita al trono di un re, e poi ogni tre anni. “Durante il giubileo, il re correva attorno ad un giudice ad eseguiva prove di forza per dimostrare la sua capacità di continuare a governare l'Egitto”, scrive il ricercatore Pat Remler nel suo libro Mitologia egizia dalla A alla Z.

Hatshepsut e Thutmose III.
Hatshepsut è stata un faraone donna, la quale regnò tra il 1474 e il 1458 a.C. A lei si deve il rinnovamento completo del santuario principale e la creazione del “Palazzo di Ma'at”. Sotto il suo regno è stata realizzata ance una cappella di quarzite rossa.
Quando il successore di Hatshepsut, Thutmose III salì al trono, ordinò la distruzione delle immagini della sua predecessora, sostituendole con le sue immagini. 
Fu distrutta anche la cappella in quarzite rossa. Sotto Thutmose fu creata un'altra struttura conosciuta come la “cappella dell'orecchio che ascolta”. Inoltre, fu realizzato anche un “lago sacro” a sue del santuario principale.




La Grande Sala a Ipostilo.
Forse si tratta dell'edificio più significativo di tutto il complesso di Karnak, costruito ad ovest del santuario principale, lungo il viale di accesso principale. Costruito da Seti, un re che ha governato tra il 1290 e il 1279 a.C., la sala si estende su una zona abbastanza grande da poter contenere tutta intera la Cattedrale di Notre Dame di Parigi.
Sulle pareti esterne sono incise scene che mostrano Seti e il suo successore Ramesse II. Dopo la sua costruzione, è molto probabile che l'edificio venisse utilizzato come luogo privilegiato per le cerimonie di incoronazione e per la celebrazione dell'Heb-Sed, sostituendo la Sala di Uadjet.

Il Tempio di Khonsu.
Khonsu era il figlio di Amon-Ra e della dea Mut. Un tempio a lui dedicato è stato collocato opportunamente tra il santuario principale di Amon-Ra e la zona sud dedicata alla dei Mut. Costruito da Ramses III, che regnò tra il 1186  e il 1155 a.C., il tempio si estende su un'area di 70 metri per 27 metri. Le colonne della sala sono alte 7 metri. “Il tempio conteneva una serie di stanze rituali e un luogo privilegiato per il ricovero della statua del dio”, scrive il team dell'UCLA.




 Il mistero di Taharqa.
I rimaneggiamenti a Karnak sono continuati anche con l'avvento del Nuovo Regno. Re Taharqa, che regnò circa 2700 anni fa, faceva parte di una dinastia di sovrani provenienti dalla Nubia (l'attuale Sudan). Taharqa fu molto affascinato dal “lagro sacro”, tanto da costruire, accanto ad esso, un monumento in parte sotterraneo.
Oggi, questa struttura è gravemente danneggiata e rimane, per certi aspetti, ancora un mistero. “Questo è un monumento sconcertante ed enigmatico che non ha paralleli”, scrive Blyth. “E' dedicato a RE-Harakhte (una fusione tra due divinità del cielo), il che spiegherebbe l'apertura solare al di sopra del suolo e le camere sotterranee che simboleggerebbero il passaggio notturno del Sole attraverso il mondo Sotterraneo”.
Tra le sue caratteristiche, è stato rinvenuto un “nilometro”, uno strumento utilizzato per misurare il livello delle acque del Nilo. 
Difficile stabilire se tale strumento avesse un utilizzo reale o solo rituale.





Nectanebo I e la fine.
L'ultimo intervento al complesso di Karnak si deve a Nectabo I, ultimo discendente della dinastia dell'Antico Egitto. Egli regnò tra il 380 e il 362 a.C..
Dopo il suo regno, il governo passò nelle mani di persone provenienti dalla Persia, dalla Grecia e da Roma.
Nectabo ha costruito il grande muro di recinzione intorno al sito, insieme ad un tempio supplementare. Sotto il suo regno, fu cominciata anche al costruzione di un pilone nel pressi dell'ingresso occidentale, che però non fu mai portato a termine.
Anche i governanti di origine straniera misero mano al santuario di Karnak. 
Tolomeo IV (221 - 205 a.C.) creò una serie di catacombe rituali dedicate a Osiride, dio degli Inferi. 
“L'edificio fungeva da 'ipogeo', luogo di sepoltura sotterranea.Molti luoghi simili sono noti in Egitto, anche se in genere questi servivano per la sepoltura degli animali sacri. A Karnak, invece, sono servite per la curiosa sepoltura di piccole statuette di Osiride”, spiega il team dell'UCLA.
Dopo che l'Egitto cadde sotto il dominio di Roma nel 30 a.C., l'ampliamento di Karnak fu interrotto e il sito assunse definitivamente l'aspetto del magnifico santuario che è giunto fino a noi.



Video







giovedì 23 maggio 2013

Video: "Ma dove mi hai portato?". Sicilia. Prima Puntata.



"Ma dove mi hai portato?" è un programma "on the road" di Maddalena Di Gregorio.
La Sicilia "raccontata" dai siciliani.
Nella prima puntata andrete nel Parco Nebrodi, a Taormina, ai Giardini di Naxos, e a Siracusa nel Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi.
Incontrerete: Il poeta Enzo Salsetta, Calogero Leanza, Francesco Di Vincenzo, Antonino Gullotta, Marta Costanza Lentini (Direttore Museo Archeologico Giardini di Naxos, Antonio Saraniti (Ass. Sport e Turismo Cesarò), Giusi Monterosso 
( Funzionario Direttivo Archeologo ), Beatrice Basile ( Direttore Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi. Siracusa), Alfio Santanocita (siciliaturismo.it), Anna Russo.
Durata: 26 minuti.








Un antico scritto potrebbe indicare il luogo dei leggendari "Giardini Pensili di Babilonia".






I leggendari Giardini Pensili di Babilonia erano considerati dagli antichi una delle 'Sette Meraviglie del Mondo', eppure mai nessuna traccia della loro esistenza è stata finora trovata. La posizione dei mitici giardini rimane uno dei grandi misteri archeologici dell'antichità.
Secondo le tradizione antiche, i giardini erano assolutamente meravigliosi, non solo per il fatto che fossero stati realizzati su vari livelli di altezza, ma anche per l'innovativo sistema di irrigazione che ne favoriva il rigoglio.
Nonostante non sia annotato in nessun documento antico, la costruzione dei giardini pensili viene tradizionalmente attribuita al re Nabucodonosor II, nel VI secolo a.C.; tuttavia, una tradizione più antica ne attribuisce la realizzazione alla regina assira Semiramide, una figura leggendaria, anche se da molti è stata accostata alla regina babilonese Sammuramat (o Shammuramat), moglie del re assiro Shamshi-Adad V, che governò dall'811 all'808 a.C.
Nemmeno gli scavi effettuati un quarto di secolo fa da un team di archeologi tedeschi ha portato alla luce qualche indizio che ne potesse indicare la localizzazione. 
Questo ha sollevato la questione se i Giardini Pensili di Babilonia siano realmente esistiti o se si tratti solo di una leggenda.
La questione è discussa dato che le fonti antiche, pur concordando nella descrizione dei giardini, non ne forniscono alcuna localizzazione precisa all'interno della città.

Dopo 20 anni di studi e di ricerche, Stephanie Dalley, una ricercatrice dell'Università di Oxford, si è convinta che forse gli archeologi hanno cercato nei posti sbagliati. Secondo alcune prove in suo possesso, i giardini non sarebbero stati affatto situati in Babilonia, ma costruiti dagli Assiri nella vicina città di Ninive, nel Nord della Mesopotamia (il moderno Iraq), su iniziativa del re assiro Sennecherib.
La Dalley ravvede nelle fonti classiche una confusione tra Babilonia e Ninive dovuta al fatto che il passaggio dal potere assiro a quello babilonese non fosse stato percepito come una soluzione di continuità dagli autori classici, che continuavano ad individuare un generico "regno di Assiria" che aveva semplicemente cambiato capitale.
Alcune ricerche hanno dimostrato che Sennacherib, dopo aver conquistato Babilonia nel 689 a.C., rinominò tutte le porte di Ninive con i nomi delle porte che furono della città di Babilonia. Quindi, è plausibile che gli autori classici vedessero Ninive come la 'Nuova Babilonia'.

Inoltre, le fonti babilonesi tacciono del tutto riguardo all'esistenza stessa dei giardini, mentre le fonti assire testimoniano di importanti lavori idrici a Ninive sotto Sennacherib (668-631 a.C.) nonché della presenza di giardini presso le rive del Khors.
Alcuni scritti assiri riportano la magnificenza del palazzo di Sennacherib, 'una meraviglia per tutti i popoli'. Un altro indizio potrebbe essere rappresentato da un bassorilievo rinvenuto nel palazzo di Sennacherib a Ninive, dove vengono rappresentati degli alberi che crescono su un colonnato, molto simile a quelli descritti facendo riferimento ai Giardini di Babilonia.

“Ci sono voluti anni di ricerche per dimostrare che i Giardini sono stati realizzati da Sennacherib a Ninive e non da Nabucodonosor a Babilonia”, spiega la Dalley. “Per la prima volta siamo in grado di provare in maniera convincente l'esistenza dei mitici Giardini Pensili”.







Lance e frecce già in uso più di 90 mila anni fa!. Eravamo meno primitivi del previsto.





E' da lungo tempo che gli archeologi dibattono sull'individuazione del momento in cui i primi uomini cominciarono a scagliare le prime frecce e lance contro prede di grosse dimensioni.
La nuova tecnica ha rappresentato un notevole passo in avanti nell'efficacia della caccia, perchè consentiva di uccidere una grossa preda ad una distanza di sicurezza, diminuendo decisamente i rischi per i cacciatori di un'incornata o di un morso.
Tuttavia, prove concrete che aiutassero i ricercatori a datare in maniera più precisa l'introduzione di questi strumenti di caccia è finora stata deludente.
Ma una nuova tecnica sviluppata da un archeologo australiano potrebbe dimostrare definitivamente che gli esseri umani hanno cominciato ad usare le prime lance tra i 90 mila e i 174 mila anni fa.
La tecnica si basa sullo studio approfondito dei segni lasciati dalle armi primitive sulle ossa di antichi reperti animali, offrendo un metodo più preciso per determinare in che modo i cacciatori preistorici uccidevano le loro prede.

L'Archeologo Corey O'Driscoll del sudest dell'Australia, ha cominciato ad interessarsi alle tracce lasciate dai cacciatori sulle ossa degli animali dopo aver letto di alcuni studi effettuati sulle ferite inferte dalle armi medievali sulle ossa degli esseri umani.
Illuminato dall'idea, insieme ad un gruppo di 15 studenti dell'Università del Queensland, O' Driscoll ha ricreato alcune lance con punta di selce e delle frecce sul modello di quelle preistoriche. 




Poi, come spiega il resoconto comparso su Science Now, il gruppo le ha scagliate contro alcune carcasse di agnello e di mucca. Dopo aver fatto bollire le carcasse per consentire un più rapido distacco della carne dalle ossa, O'Driscoll ha trovato 758 ferite sulle ossa che ha esaminato minuziosamente al microscopio. “Abbiamo trovato delle differenze fondamentali tra i segni inferti dalle armi e quelli provocati dalla macellazione dell'animale”, spiega O'Driscoll.

L'esito dello studio ha mostrato, inoltre, che i segni lasciati dalle armi contenevano dei microframmenti di pietra che non comparivano nei segni di macellazione.
I risultati hanno indotto O'Driscoll e la sua collega Jessica Thompson ad applicare la nuova tecnica di osservazione su tre antichi campioni di ossa di grandi mammiferi (una costola e due vertebre), osservando i segni da impatto con le armi.
I due ricercatori hanno concluso che i segni sulle due vertebre risalgono ad un periodo compreso tra i 91 mila e i 98 mila anni fa, mentre quelli sulla costola sono collocabili in un arco di tempo compreso tra i 153 mila e i 174 mila anni fa, il che rende i campioni le testimonianze più antiche dell'utilizzo di armi a proiettile.





Molti archeologi sono rimasti convinti delle conclusioni di O'Driscoll, osservando con più chiarezza la differenza tra i segni di macellazione da quelli dei proiettili. 
Tra questi c'è Tiina Manne, dell'Università del Queensland la quale trova i risultati altamente persuasivi.
“Questo ci suggerisce che la tecnologia a proiettile era in uso da almeno 95 mila anni”, dice la ricercatrice. “Si tratta di risultati molto eccitanti che può aiutare i ricercatori a distinguere i segni da impatto con proiettili su una enorme varietà di campioni.
La nuova tecnica può contribuire a migliorare la nostra comprensione di quando è stata introdotta questa tecnologia in altri luoghi del pianeta”.






mercoledì 22 maggio 2013

Le storie di Luna Elfica: Un cucchiaio di miele.





Un cucchiaino di miele.
Intingere il cucchiaino nel miele e portarlo alla bocca e' quasi un atto poetico, e' come nutrirsi di fiori: acacie, tigli, sulla, girasoli, agrumi, lavanda e tanti altri ancora...puoi anche sentire il loro profumo se hai tempo di soffermarti ad assaporare, se lo stress non ti stritola....
Miele, nettare dolcissimo che ci regalano le api che lo elaborano a partire dal nettare dei fiori.
Questo prezioso alimento era gia' conosciuto 16.000 anni fa, quando gli uomini di Cro-Magnon, considerati gia' appartenenti alla specie Homo Sapiens, ci lasciarono le prime testimonianze iconografiche.
Le piu' famose si trovano in Spagna, nella Cueva de la Araña a Bicorp (Valencia).
Una di queste pitture rupestri rappresenta una donna che raccoglie un favo da un'anfratto nella roccia.
E' probabile che l'uomo preistorico consumasse non solo il miele ma l'intero favo, comprensivo di uova e larve,assicurandosi cosi' un discreto apporto proteinico.
Ma il miele non veniva solo usato come alimento ma anche come medicinale
I Sumeri ad esempioconoscevano bene le virtu' terapeutiche del miele come dimostra una tavoletta a carattere cuneiforme che riporta alcune ricette mediche a base di miele di cui mancano pero' le indicazioni ;essi preparavano anche creme di bellezza a base di argilla ,acqua, miele ed olio.




Agli Ittiti, popolo insediato presso l'attuale Turchia e Siria, si deve il conio di termini specifici nella loro quanto mai oscura lingua: melit per miele e forse bhi per ape.
Anche l'Egitto conosceva l'apicultura e il miele: il famoso papiro medico Smith cita il miele come rimedio per guarire le ferite, la regina Hashepsowe aveva un'ape nel suo emblema ed in varie tombe sono stati trovati vasi contenente miele sigillati ermeticamente: a distanza di millenni dalla sua raccolta questo miele era ancora commestibile.
All'epoca il miele era un bene prezioso: il valore di un orcio di miele equivaleva a quello di un bue o di un asino.
Passando dalla Grecia, Ippocrate vedeva nel miele,come nell'acqua e nell'aria, una sorte di panacea per tutti i mali, buono contro le febbri, ferite , piaghe, ottimo come bevanda rinfrescante miscelato con acqua o con aceto.
Focacce al miele venivano offerte durante le gare sportive, e l'offerta del miele era collegato al culto di varie divita' quali Selene, Demetra,Artemide. Ma , strano a dirsi, non conoscevano la vera provenienza del miele: Aristotele sapeva che il miele veniva immagazzinato dalle api,ma lo riteneva caduto dal cielo sui fiori.




A Roma nel primo secolo a.C. Il medico Asclepiade contribui' a diffondere l'uso del miele per combattere accidia e malinconia e come ricostituente per l'eta' senile. I romani ne importavano grandi quantitativi da Creta, Cipro, Spagna e Malta (Sembra che il nome Malta derivi per l'appunto da Meilat, che significa terra del miele).
Anche presso gli arabi il miele era importante ed aveva una gran fama di afrodisiaco come testimonia lo scritto del grande viaggiatore arabo Ibn Batuta che racconta di aver raggiunto l'isola di Dibat-el-Halal, dove, grazie ad una bevanda di miele e latte di cocco era riuscito a soddisfare le sue quattro spose legali ed anche le sue concubine per un tempo equivalente a diciotto mesi!




La Palestina e il Libano erano paesi in cui letteralmente scorrevano latte e miele ( prima del disboscamento) e, se guardiamo agli scritti paleocristiani l'ape era considerata "serva del Signore" e la sua cera era considerata un "parto verginale"simbolo del corpo di Cristo. 
Da qui deriva probabilmente l'uso delle candele di cera nella liturgia.
Sono numerosi gli scritti nell'Antico e Nuovo Testamento che fanno riferimento al miele :"Egli mangera' panna e miele quando sapra' rigettare il male e scegliere il bene ( Isaia ); Giovanni Battista si nutri' di locuste e miele selvatico ( Matteo ).
"Mangia miele, figlio mio, perche' e' buono, e dolce e' il favo al tuo palato" -Salomone (proverbi).
" Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c'e' miele e latte sotto la tua lingua e il profumo delle tue vesti e' come il profumo del Libano "-dal Cantico dei Cantici – Salomone -
Quant'e' buono il miele ...naturalmente non esagerate ma fatene buon uso..

Luna Elfica




Trovata un "Stonehenge" sul fondo del Lago Michigan?





Non ne sono ancora sicuri, ma un gruppo di archeologi subacquei ritiene di aver scoperto le traccie di una scultura preistorica sul fondo del Lago Michigan. 
Tra queste, una roccia di granito presenta delle incisioni che sembrano rappresentare un mastodonte, giganteschi animali che vivevano nel Nord America, con quella che potrebbe essere una lancia conficcata nel fianco.
La scoperta risale al 2007, quando il team di archeologi è stato ingaggiato per analizzare diversi relitti di barche individuati sul fondo del lago americano.
Durante la ricerca, i sommozzatori si sono imbattuti in alcune grani pietre disposte in un modello circolare, con delle incisioni intagliate su ognuna di esse. Le pietre si trovano a circa 40 metri di profondità e, al momento della scoperta, i ricercatori subito ipotizzarono che si trovavano di fronte ad una struttura molto simile a quella di Stonehenge, in Inghilterra e a quello di Gobekli Tepe, in Turchia.
Naturalmente, bisognava trovare ulteriori conferme ed eseguire altre analisi per confermare le ipotesi dei ricercatori. Recentemente, un ulteriore indizio che rafforza l'ipotesi iniziale è stato fornito dalle rilevazioni ottenute con una scansione sonar, che confermerebbe la somiglianza con il santuario di Stonehenge.

Secondo gli archeologi, se la loro ipotesi dovesse essere definitivamente confermata, la datazione del sito si potrebbe collocare intorno ai 10 mila anni fa, quando le acque del lago Michigan erano molto più basse a causa della glaciazione. Questo periodo di tempo dovrebbe coincidere anche con l'estinzione dei mastodonti in questa zona del pianeta.
“Quando osservi osservi la roccia, hai l'immediata sensazione che si tratti di un'incisione”, racconta Mark Holley, scienziato del Grand Traverse Bay Underwater Preserve Council e archeologo subacqueo del Northwestern Michigan College.  “Ma è proprio questo che gli esperti devono verificare. Il problema è che normalmente gli esperti di petroglifi non fanno immersioni”.
Tra gli esperti consultati dal team figura Daniel Fisher, curatore della University of Michigan Museum of Paleontology, studioso delle interazioni tra uomini e mastodonti: “E' concepibile che l'immagine sulla roccia sia un petroglifo”, ha detto. “Resti di mastodonti sono stati trovati nella parte meridionale dello stato, quindi è possibile che i popoli antichi abbiano avuto una certa familiarità con questi animali”.

La roccia con le possibili incisioni è alta quai un metro e messo e le foto mostrano su di essa numerose fessure. Alcune sembrano di origine naturale, altre di origine umana. Ma le incisioni che sembrano formare il petroglifo sono quelle che maggiormente risaltano all'occhio.
Nell'insieme, i contorni suggeriscono la sagoma di un mastodonte con la schiena, la gobba, la testa, il tronco, le zanne, le orecchie a forma triangolare e le gambe. “Non riuscivamo a credere a quello che stavamo guardando”, ha aggiunto Greg MacMaster, presidente dell'Underwater Preserve Council.
Nello stato del Michigan, gli archeologi finora hanno rinvenuti solo altri due petroglifi, cpiega l'archeologo John Halsey. Essi comprendono due sculture in pietra arenaria nella zona nota come Sanilac. Come spiega Holley, il luogo dove si trova il sito per il momento verrà mantenuto segreto, per evitare atti di vandalismo o furto di reperti.