mercoledì 23 gennaio 2013

La redazione: C'è una piazza speciale...di Guido Mattioni.






C’è una piazza speciale… Anzi no, scusate, ce ne sono infinite altre ancora, sparse un po’ dovunque, di piazze fatte così, e intendo appunto speciali. 
Ne ho percorse mille, e forse altrettante ne ho anche mancate, in 35 anni spesi in giro per l’Italia e per il mondo a raccontare fatti, gente e luoghi come inviato di quotidiani e settimanali. 
A volte l’ho fatto troppo di corsa, per colpa delle inflessibili dead lines fissate dai capiredattori - “Hai tempo un’ora per mandare il pezzo, ma fai presto, mi raccomando presto, che dobbiamo chiudere la pagina!” - ed è così che adesso continuo ad andarmele a cercare per conto mio, nella mia nuova, più libera e in fondo spensierata dimensione di romanziere. Così le percorro finalmente piano, lento pede, cercandovi nuove fonti di ispirazione, o un potenziale e inedito scenario, centellinandole come si fa con un vecchio Armagnac.
Queste piazze possono trovarsi qui a due passi, quasi invisibili e in debito di ossigeno nel traffico di una grande città come Milano. 
Oppure sono apparizioni improvvise nella nebbia umida di una foresta amazzonica. 
Ma anche miraggi protetti dall’aridità ostile di un deserto africano, così come presenze rocciose ai piedi di un gigante rialzatosi milioni di anni fa nel mezzo dello sconfinato continente asiatico.
Non hanno un’insegna per poterle individuare e nemmeno un cartello che ne indichi il nome. 
Eppure ci sono, ma fortunatamente restano invisibili ai più, irraggiungibili dai viandanti del “tutto organizzato”, negate vivaddio ai pellegrini di quegli inclusive tour che saranno senz’altro la democratizzazione del diritto al movimento, ma nei quali a pagamento è incluso tutto, quasi tutto, senza sforzo alcuno. 
Tutto, meno che il preziosissimo eppure gratuito dono del sogno, così come assolutamente free rimane il miracolo della fantasia, anche quello disponibile a venire via per nulla. 
Basta impegnarsi. 
Basta volerlo. Basta cercare caparbiamente una di quelle piazze.
Sono piazze dove tuttavia è spesso difficile recarsi e che per loro autodifesa tendono a negarsi al primo che passa. 
Anch’esse hanno del resto i loro diritti e di conseguenza impongono le proprie condizioni:
vogliono appunto essere per prima cosa sognate, successivamente amate e quindi studiate per poter essere - finalmente - conquistate. 
Soltanto allora diventano realtà tangibili, scrigni senza lucchetto e colmi di preziose suggestioni. 
Sono anche diverse una dall’altra, queste piazze. 
Possono differenziarsi infatti per clima, per i colori o per la loro storia, ma nonostante tutto finiscono per assomigliarsi perché è lì - unicamente lì - che si incrociano sempre, immancabilmente, le stesse grandi arterie, altrettanto invisibili da chi non le conosce e per questo non è abituato a frequentarle. 
Hanno nomi bellissimi e ricchi di suggestioni: Vicolo della Scoperta, Via dell’Avventura, Viale della Natura, ma soprattutto Corso dell’Umanità. 
confluiscono tutte in queste agorà ideali da non contaminare, dove è buona regola il silenzio, così come il sacrosanto rispetto nei confronti di chi ci vive da sempre, sia esso uomo, animale, oppure pianta. 
Agorà dove non si incontrano turisti, ma soltanto viaggiatori.
Pensato per questi viaggiatori, rivolto a loro, e fatto anche insieme a loro, è nato questo Blog - Scientia Antiquitatis - tecnicamente supplemento di Altheo Magazine. 
Quindi, a sua volta, agorà virtuale e proprio per questo libera, dedicata all’archeologia, alle spedizioni, ai viaggi ai confini del mondo e al grande rispetto per Madre Natura. 
Che sì, va scritta con le maiuscole, perché Lei se lo merita e perché purtroppo noi, suoi
ospiti frequentemente villani o quel che è peggio figli a volte degeneri, spesso ce ne dimentichiamo.


Guido Mattioni



Giornalista e scrittore, autore del romanzo "Ascoltavo le maree", adottato come libro di testo per corsi di italiano dal Modern & Classical Languages Department della Georgia State University di Atlanta.
Nella sua versione inglese, "Whispering Tides", il romanzo è giunto finalista nel 2012 sia al Global eBook Award di santa Barbara (California) sia gli Usa Best Book Awards di Los Angeles.
In entrambi i casi era l'unico libro di autore italiano su migliaia di iscritti.
E' disponibile come ebook, in entrambi le lingue, su Amazon, Apple, Barnes and Noble, Smashwords, Sony e Kobo (inmondadori.it).
Da marzo, in edizione stampata, in tutte le librerie per i tipi della INK di Milano.





martedì 22 gennaio 2013

Oceania: Religione e rituali. Divinità.

"Ta' aroa era il suo nome, era nel vuoto, niente terra, niente cielo, niente mare, niente uomini.
Ta'aroa chiamò, ma nulla rispose, ed esistendo da solo si è mutato nell'universo".
(Mito Tahitiano).




Credenze e pratiche religiose in Oceania sono state trasformate dall'opera di evangelizzazione di diverse denominazioni cristiane.
Il processo di conversione in molti casi ha comportato la denigrazione delle credenze autoctone e delle loro manifestazioni del potere del diavolo.
Un fenomeno che quasi ovunque ha accompagnato la conversione è stato quello della distruzione delle rappresentazioni materiali delle divinità autoctone, considerate feticci o idoli pagani e a volte offerte volontariamente ai missionari dai proseliti.
E' ironico che spesso gli unici esemplari rimasti siano i pochi preservati dai missionari, che li riportavano in patria per sollecitare donazioni; oggi si trovano nei musei delle grandi capitali delle potenze coloniali.
Il panorama delle cosmologie tradizionali in Oceania era complesso: mentre la presenza di divinità in Australia, Melanesia e Micronesia, o perlomeno di rappresentazioni materiali di tali figure, è argomento dibattuto, le religioni polinesiane erano accumunate dalla deificazione di figure ancestrali.
Secondo Kirch e Green, gli antenati deificati erano la fonte originaria delle società in Oceania centrale.
Gli uomini e le donne derivavano infatti dai propri progenitori deificati, che continuavano a essere la fonte vitale della loro crescita e fertilità attraverso la trasmissione del mana, in base al quale si determinavano anche le relazioni gerarchiche nella società.
Gli dei costituivano una presenza costante ed attiva nella vita quotidiana dei polinesiani, erano vettori di poteri vitali, ma al contempo pericolosi, che dovevano essere contenuti e controllati tramite tapu che regolavano il contatto con essi.
Il dio cristiano è entrato a far parte della vita religiosa in tutta l'Oceania.
Diverse forme di cristianesimo sono praticate, secondo la storia delle missioni che hanno avuto influenza in luoghi differenti e i processi di indigennizzazione delle idee e delle pratiche importate nei vari contesti locali.



Testa del dio della guerra Kukailimoku, probabilmente riportata da James Cook, XVIII secolo, Londra, British Museum


Scultura in vimini ricoperta di piume rosse prese dagli uccelli: gli iwi.
Piume gialle e nere sono usate per i dettagli.
Le piume erano materiali più sacri, utilizzate per avvolgere e proteggere, ma anche contenere, il potere divino racchiuso negli oggetti sacri.
Gli occhi sono in madreperla e legno, i denti sono di cane.
Il dio rappresentato, Ku, era il dio della guerra.
Era intimamente collegato al successo di Kamehameha I, che nel 1810 riuscì a riunire tutte le isole delle Hawaii in un unico regno e, alleandosi con le potenze coloniali, a preservarne l'indipendenza.



Uenukutuwhatu, palo scolpito in legno che rappresenta e ospita il dio arcobaleno delle tribù maori, Nuova Zelanda, 1400 circa, Te Awamutu Museum


Datata intorno al 1400, questa è una delle più antiche sculture maori, considerata tra i più preziosi tanga (tesori) del popolo Tainui.
Rinvenuta nel lago Ngaroto, si è conservata grazie all'usanza di nascondere gli oggetti sacri in periodi di pericolo.
Rappresenta Uenuku, una delle manifestazioni del dio arcobaleno, divinità associata alle tribù di Waikato.
Il dio era evocato dal capo o da un sacerdote, che si rivolgevano alla scultura in cui era spiritualmente incorporato.
Un detto maori recita che Uenuku era un antenato remoto che si mutò in arcobaleno dopo la morte.




Italia: Finale Ligure, presentazione "Gocce di Mare". Olga Gattero.






Sabato 26 Gennaio alle ore 21 sarà presentato presso la Sala Gallesio a Finalmarina l’ultimo libro di Olga Gattero dal titolo “Gocce di mare”. 
Il libro raccoglie le ultime poesie dell’autrice finalese ed è impreziosito da una serie di fotografie di Carlo Lovisolo. 
“I due autori, dice Pier Paolo Cervone, che condurrà la serata, hanno in comune l’amore per il loro paese e una sensibilità estrema, che nasce dall’intimo e li porta a esprimersi in due settori così diversi eppure così simili”. Il ricavato della vendita del libro sarà destinato all’acquisto di materiali per la Ludoteca “I Treni a vapore” di Finalpia. 
Alla presentazione, organizzata dalla Biblioteca Mediateca Finalese, interverrà l’assessore alla cultura del Comune di Finale Ligure Nicola Viassolo
Olga Gattero nasce a Finale Ligure nel febbraio del 1949. Ha lavorato 33 anni in una scuola materna con mansioni varie e da sempre è amante della letteratura infantile. Pensionata da una decina d’anni, da cinque scrive poesie e fiabe per bambini. Autodidatta, partecipa a concorsi letterari nazionali di poesia e alcune di esse vengono premiate con medaglia e diploma di merito, classificandosi tra i finalisti. Ha pubblicato Fantasilandia (2008), La fiaba della vita(2008), Castelli di sabbia (2010), La valigia magica (2010), Il mestolo di rame (2011).
Carlo Lovisolo nasce nel 1964 a Finale Ligure dove vive e lavora come fotografo e guida naturalistica. Da oltre 30 anni fotografa il Finalese. Suoi servizi fotografici sono stati pubblicati sulle riviste Bell’Italia e Airone. 
La sua mostra "Il Finalese: dalla costa all'entroterra" è visitabile fino al 3 febbraio all'Oratorio de' Disciplinanti del complesso monumentale di Santa Caterina a Finalborgo (ore 15-20, chiuso il lunedì).



Italia: Valorizzare i beni culturali dell'Umbria con solo 450mila euro di budget.

Arte e Cultura, il cammino dell'archeologia in Umbria




La Soprintendenza per i beni archeologici dell'Umbria ha presentato, nella sala dell'ex Oratorio del Museo Archeologico di Perugia, il resoconto su quanto è stato fatto nell'ultimo anno sul territorio regionale. 
Tra i più virtusi della penisola l'ufficio della Soprintendenza umbra ha effettuato numerosi interventi programmati: scavi, valorizzazioni, restauri mostre e allestimenti, con un badget di soli 430 mila euro.
La scoperta più significativa degli ultimi dodici mesi è senza dubbio la necropoli arcaica di Colfiorito (VI sec. a.C.), caratterizzata dalla ricchezza di alcune tombe che si crede siano di famiglie di 'classe egemone', tra cui la 'Tomba del Carro' e la 'Tomba della Principessa' dove è stato rivenuto un ricco corredo femminile. Un'altra necropoli è stata scoperta a Norcia di epoca ellenistico-repubblicana, che secondo gli studiosi è solo una parte di un'area sicuramente più vasta.



Numerosi sono stati anche gli interventi di valorizzazione del patrimonio artistico regionale, quelli più consistenti anche da un punto di vista dei costi hanno riguardato la realizzazione del primo lotto di lavori sull'Arco Etrusco di Perugia, cofinanziati dal Comune (57mila€) Fondazione cassa di Risparmio di Perugia (57mila€), Provincia di Perugia (10mila€) e Ministero per i Beni e le attività culturali (25mila€).  
Altri interventi hanno riguardato il teatro romano di Gubbio e il restauro degli intonaci dipinti di Palazzo Giampé ad Assisi.
Il soprintendente ai beni archeologici dell'Umbria, Mario Pagano ha poi sottolineato l'impegno particolare che ha cosentito l'attuazione di numerose mostre e allestimenti nei musei della regione, a Perugia, Gubbio e Spoleto, oltre che nei siti archeologici di Orvieto e Carsulae. Molto particolare e unica nel suo genere è stato l'allestimento del Museo archeologico di Perugia dedicato alle collezioni, tra cui spiccano le collezzioni dei perugini Mariano Guardabassi e Giuseppe Bellucci vero e proprio cuore pulsante del museo perugino.
Arte e Cultura, il cammino dell'archeologia in UmbriaPer il futuro il 2013 si prospetta come un anno pieno di cultura e riscoperte, che verranno incentrate come evidenziato nella conferenza, sopratutto sulla valorizzazione. 
Da segnalare un allestimento in programma nei prossimi mesi, interamente riservato ai 
bronzi etruschi di Caste S.Mariano e la collocazione all'interno del chiostro di S.Domenico 
dell'elegante statua di Telamone.


Potrebbe interessarti:http://www.perugiatoday.it/cronaca/museo-archeologico-progetti-mostre-valorizzazionig.html
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Luoghi: Repubblica Ceca. lo straordinario "Paradiso Boemo", splendore e mistero del Pianeta Terra.





Già il nome lascia immaginare lo spettacolo unico e irripetibile che si presenterà ai nostri occhi: “Paradiso Boemo” (Ceský ráj), un area protetta nel cuore della Repubblica Ceca, dichiarato dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità. Non sorprende che l'area in cui si trova il Geoparco Boemo, compresa tra le cittadine di Turnov, Mnichovo Hradište e Jicín, sia stata scelta come soggetto da numerosi artisti praghesi.
Nel corso di milioni di anni, il sole, la pioggia e il vento hanno scolpito le rocce di arenaria, creando delle strutture stupefacenti, guglie slanciate e pilastri che sembrano canne di un colossale organo. Ma all'occhio umano che si avventura nell'esplorazione di questo luogo incredibile, non manca di riconoscere nelle rocce modellate dal tempo volti umani, animali e, addirittura, una coppia di sposi che, secondo la leggenda, furono trasformati in statue di pietra.Già il nome lascia immaginare lo spettacolo unico e irripetibile che si presenterà ai nostri occhi: “Paradiso Boemo” (Ceský ráj), un area protetta nel cuore della Repubblica Ceca, dichiarato dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità. 






Non sorprende che l'area in cui si trova il Geoparco Boemo, compresa tra le cittadine di Turnov, Mnichovo Hradište e Jicín, sia stata scelta come soggetto da numerosi artisti praghesi.
Nel corso di milioni di anni, il sole, la pioggia e il vento hanno scolpito le rocce di arenaria, creando delle strutture stupefacenti, guglie slanciate e pilastri che sembrano canne di un colossale organo. 
Ma all'occhio umano che si avventura nell'esplorazione di questo luogo incredibile, non manca di riconoscere nelle rocce modellate dal tempo volti umani, animali e, addirittura, una coppia di sposi che, secondo la leggenda, furono trasformati in statue di pietra.La regione, che copre una superficie di circa 92 chilometri quadrati, è altamente sismica e si trova su una caldera vulcanica molto vivace. 
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno notato un aumento nel movimento del magma verso la superficie, con un relativo aumento della sismicità sul confine ceco-tedesco.
Dal 1955, la zona è conosciuta come “Paradiso Boemo”, la più antica riserva naturale della Repubblica Ceca. 
Si trova a 100 chilometri a Nord-Est di Praga ed è situata ad un'altitudine che varia dagli 800 ai 1600 metri sul livello del mare. Le strutture sono di varia natura e rappresentano stati diversi di sviluppo e tutta una serie di misteri geologici, paleontologici e mineralogici che i ricercatori sperano di risolvere.
Dal 1955, la zona è conosciuta come “Paradiso Boemo”, la più antica riserva naturale della Repubblica Ceca. Si trova a 100 chilometri a Nord-Est di Praga ed è situata ad un'altitudine che varia dagli 800 ai 1600 metri sul livello del mare. 
Le strutture sono di varia natura e rappresentano stati diversi di sviluppo e tutta una serie di misteri geologici, paleontologici e mineralogici che i ricercatori sperano di risolvere.






lunedì 21 gennaio 2013

Racconti di viaggio: Messico, riviera Maya tra cerotes, quezal e piramidi.

Da Cancun a Punta Allen: 120 chilometri di costa selvaggia, orlata da spiagge incantevoli, coperta di palme fino al mare e rivestita da una selva fittissima.
E' questa la riviera Maya, una tra le mete più battute dal turismo mondiale, ideale per trascorrere una vacanza nei mesi invernali al caldo dei Tropici.





Una mescolanza di lingue e di nazionalità risuona in tutti i grandi alberghi della costa: per gli americani lo Yucatan è a un paio di ore di volo, i canadesi adorano questo mare turchese orlato in fondo dalle onde bianche del Gran Arrecife Maya, la seconda barriera corallina più importante del mondo e gli europei hanno imparato in fretta la via di fuga da nebbia, neve e freddo invernali.
Fino a trent'anni fa questa costa sul mar dei Caraibi era percorsa solo una strada sterrata, ed è stata per il sottoscritto un'esperienza unica.
Ora ci son ritornato e ho trovato un'altra costa, un'altra atmosfera.
A Tulum avevo dormito nelle "mitiche" cabanas di Don Armando. Non mi sentivo Zorro ma poco ci mancava. Ora ho solo la scelta di un albergo.
Qualche autobus di linea carico di campesinos passava senza orario diretto in Belize o in Guatemala. Ora, tre corsie di autostrada mi portano lungo la costa in due orette.
Sviluppo? mah!
Il cambiamento repentino potrebbe suscitare qualche perplessità e molti dubbi sul futuro.
Ma lo sviluppo è stato guidato, in alcuni casi, con equilibrio, salvaguardando l'ambiente e la popolazione.
Esemplare la riserva Biosfera di Sian Ka' an ("principio del cielo" in lingua Maya), un territorio di oltre 1,5 milioni di acri dichiarati dall'Unesco nel 1986 patrimonio mondiale dell'umanità, ultimo lembo meridionale della Riviera Maya.
Come altri eco-parchi è stata posta sotto protezione e salvata da un disboscamento eccessivo.








Così lo stato più giovane del Messico, il Quintana Roo, creato solo nel 1974 ha preservato, insieme con la splendida intatta naturalezza di questi luoghi, anche la possibilità di lasciare i suoi abitanti nel territorio, occupati e coinvolti nella salvaguardia dell'ambiente.
Gli eco-parchi infatti, non sono concepiti come aree intoccabili e immodificabili, ma come aree reali nelle quali è consentito vivere, lavorare, intervenire sull'ambiente secondo regole ben codificate.
Dentro i parchi ci sono paesi di pescatori, comunità agricole, piccoli centri di artigianato, paesi in cui vivono guide che accompagnano le spedizioni all'interno.
Un esempio di sviluppo intelligente che invita a godere il territorio senza distruggerlo.
Solo una piccola parte di questa area fortemente protetta dalla biosfera di Sian'Ka'an è aperta al turismo.
Ma una parte sufficiente ad assaporare tutte le emozioni della giungla tropicale alta e fitta, della savana bassa e paludosa e della misteriosa larghissima laguna che si apre sul mare.
Io mi sono mosso tranquillamente a piedi nei sentieri indicati, in canoa pagaiando lentamente trascinato dalla corrente all'interno della laguna e avvistando i grandi quezal dalle piume verdi, che i Maya identificavano in un simbolo di bellezza e di abbondanza.
Bene a saperlo...non sono bello, non vivo nell'abbondanza, ma il quezal io l'ho visto!
Tra le mangrovie intricate, universo di scambio vitale tra insetti, rettili, coccodrilli di pantano, passano in volo aironi, ibis, pellicani, trampolieri, ma anche il pappagallo yucateco dalle piume rosse e il tucano reale dalle guance gialle e un enorme becco.
Poco lontano Xcaret (il lingua Maya "piccola cala") è un eco-parco archeologico e didattico dedicato alla fauna di questa zona.







Mariposas, tartarughe, coccodrilli immersi in giardini tropicali pieni di orchidee e in calette tranquille interrotte da fiumi sotterranei raccontano tutte le bellezze del Caribe messicano.
Qui è possibile anche assistere al gioco della palla, antico di 3.500 anni, chiamato pok-to-pok con un nome onomatopeico che ricorda il suono sordo della pelota che rimbalzava sui gomiti e sulle ginocchia.
Non fate come me! basta assistere...
Ancora più affascinanti le grotte di Aktun Chen che si percorrono quasi carponi, in cunicoli che si allargano all'improvviso in un mondo fantastico di stalattiti, stalagmiti immerso nell'acqua di fiumi sotterranei, dove affondano le radici sottili di alberi che crescono sotto terra e nuotano pesci albini.
Un fenomeno questo diffusissimo nello Yucatan, penisola calcarea erosa da centinaia di pozzi collegati tra loro da fiumi sotterranei che si possono percorrere a nuoto con qualche spedizione avventurosa.





Pinne, maschera e boccaglio sono l'attrezzatura indispensabile per osservare non solo la barriera corallina al largo, ma anche il mistero di queste acque dolci nascoste passando da una caverna all'altra con la torcia che illumina nel silenzio il movimento dei pesci e l'affiorare di colonne di pietra millenarie.
Ecco perché ti danno il boccaglio...per non dire cazzate durante l'immersione, in silenzio, appunto.
Oggi immergersi nei pozzi o cenotes dello Yucatan fa parte di un viaggio/avventura.
Un tempo invece i cenotes erano un elemento vitale della cultura Maya.
Usati come cisterne di acqua in una terra che assorbe e lascia filtrare nel calcare tutta l'acqua piovana, erano collegati anche a riti sanguinari come dimostrano i resti di ossa umane trovati nel grande cenotes di Chichen Itza.
I Maya sono ancora vivi in questa parte del Messico percorsa da tracce del passato i ogni crocicchio.







Affascinante il sito di Cobà a quaranta chilometri dal mare, immerso nella selva come i suoi templi in parte nascosti dalla vegetazione foltissima che si infiltra nelle pietre, divora le rovine, mimetizza ogni struttura.
Una piattaforma ancora inesplorata, la Iglesia a gradino dove non è possibile salire (la mia milza ringrazia ancora), sentieri ombreggiati da percorrere in bicicletta o in triciclo e poi il grande tempio di Nohuch Mul, di 42 metri, il più alto dello Yucatan dimostrano l'importanza di Cobà, centro cerimoniale tra il 300 a.C. e il 1000 d.C., capitale delle terre del sud dell'Impero Maya.





Bisogna assolutamente affrontare lo sforzo di salire, gradino dopo gradino, tenendosi alla corda della scalinata per evitare le vertigini e arrivare in cima alla piccola cella superiore che costituisce il coronamento della piramide, come nelle architetture del Peten in Guatemala.
E' lassù, in cima alla scalinata si può finalmente guardare in giù all'orizzonte.
Dove a perdita d'occhio senza fine si stende un mare verde fittissimo, intricato, superbo.
E' la selva tropicale che aveva inghiottito la prima spedizione di Spagnoli illusi, dopo essere sbarcati sulla spiaggia, che la conquista fosse oramai a portata di mano.






Istanti: "Il viaggio di una madre". Renee C. Byer. 2007.



Istanti: Le foto vincitrici del Premio Pulitzer
"il viaggio di una madre". Renee C. Byer. 2007.





La morte di un proprio caro è terribile; quella di un bambino dopo una lunga malattia è una tragedia insopportabile.
La storia straziante di uno di questi bambini è stata immortalata da una serie di fotografie avvincenti da Renee C. Beyer. Il suo fotoracconto, pubblicato da Sacramento Bee, in California, si aggiudicò il  Premio Pulitzer.
Cyndie French, madre single del bambino e di altri quattro figli, incontrò Renee, una dei fotografi dello staff del Bee, a una conferenza nel maggio del 2005.
La conferenza riguardava i problemi dei giovani colpiti da gravi malattie.
Cyndie raccontò a Renee la storia di suo figlio Derek, di 10 anni, malato di una rara malattia infantile, il neuroblastoma, un tumore che insorge nelle cellule nervose e alla fine colpisce gli organi.
Mentre parlavano, nacque tra loro un rapporto speciale e Cyndie permise a Renee e alla reporter Cynthia Hubert di seguire la battaglia di Derek.
Le due giornaliste trascorsero un anno con la famiglia.
Accompagnarono Cyndie e Derek all'ospedale e videro la madre spingere il bambino sulla sedie a rotelle attraverso i corridoi per distrarlo dall'imminente visita medica.
Andarono in ambulatori e cliniche per innumerevoli esami di ogni genere. E passarono gran parte del tempo in casa di Cyndie.




Assistettero al graduale cambiamento della personalità di Derek a causa del dolore costante che ne detestava il corpo e sfociava in esplosioni di rabbia, a volte contro sua madre o i fratelli, altre contro niente o nessuno in particolare.
La storia si sviluppò su due piani. Innanzi tutto era il commovente resoconto dell'amore incondizionato di una madre per suo figlio, e inoltre mostrava la sua battaglia per mantenere unita la famiglia nonostante il lavoro perduto, le risorse limitate e gli estenuanti problemi di salute che alteravano le relazioni familiari.
Era una storia che Cyndie French voleva fosse raccontata affinchè altri nella sua stessa situazione potessero beneficiare di ciò che aveva imparato e della sua esperienza.
Derek chiamava le due giornaliste "le api" e finì per accettarle come parte della sua vita.
Si sentivano a loro agio e coltivavano il rapporto, e ne risultarono alcune delle fotografie più belle di tutto il fotoracconto. Le immagini di Renee Byer sono avvincenti e indimenticabili.




Ma catturano l'implacabile realtà di una battaglia quotidiana. E, andando oltre la malattia di Derek, ritraggono le difficoltà che ogni giorno la famiglia affrontava e superava, a dispetto delle scarse risorse.
Renee mise in campo la sua ventennale esperienza di fotogiornalista per assicurarsi che la storia fosse raccontata correttamente.
Le fotografie sono intime ma non invadenti, piene di valore umano ma non patetiche.
"In una situazione come quella", ha spiegato, "il tuo istinto di essere umano ti dice di  cercare di dare una mano. Ma come giornalista, devi fare un passo indietro e lasciare che le cose seguano il corso naturale.
Può essere molto, molto doloroso.
Stavo documentando una vicenda che doveva essere raccontata ed era un dono trovarmi lì.
Ebbi sempre la consapevolezza che ciò di cui ero testimone avrebbe portato una speranza ad altre famiglie".
Le condizione di Derek peggioravano gradualmente.
Perse peso e il dolore divenne insopportabile. Verso la fine dormiva per la maggior parte del tempo, ma Cyndie non lasciò mai il suo capezzale.




Derek morì tra le braccia della madre nella primavera del 2006.
In luglio il Bee pubblicò quattro lunghi articoli corredati da molte immagini.
Quando Renee ricevette il Premio Pulitzer, Cyndie la raggiunse in redazione e si abbracciarono.
I lettori risposero con entusiasmo agli articoli, un'ondata di sostegno e comprensione che permise a Cyndie French di lanciare un progetto per raccogliere fondi da destinare alle altre famiglie in lotta con gli stessi problemi che lei aveva affrontato.